Tor(i)no in me

 

La mia discontinuità ormai é marchio di fabbrica da queste parti.
Ma non voglio flagellarmi per questo. Seguo i miei tempi.
Parlo sempre meno e nel tempo libero sono sempre meno ‘connessa’.

Sono andata giù in Sicilia da mammà per Natale, lasciandomi dietro un bel po’ di cose da gestire per bene.
Le feste catanesi poi ci hanno messo un’altra buona dose riempiendo stomaco, testa e cuore. E come natura chiede, tutto questo va metabolizzato bene e con pazienza. Che dopo i 30 il metabolismo va a rilento, si sa.

Al mio ritorno mi sono vista un po’ costretta a fare come una specie maratona in piena digestione a cui ne è risultata inevitabilmente una nausea e una debolezza insostenibile.

Dunque ho chiesto tempo. A me stessa e a chi mi me ne chiede.

Il giorno in cui sono uscita nuovamente da casa per fare qualcosa, ho rivisto la mia cara buona Kiki – Federica, per tutti gli altri – per fare due chiacchiere con chi ragiona e respira al mio stesso ritmo, in un palese bisogno di luce.

Lei è una di quelle rare belle occasioni della vita in cui ci si sente bene senza riserve. In cui non esiste conflitto di alcun genere e, se mai dovesse presentarsi, so già che sarebbe palesemente comunicato nel modo più pulito e probabilmente più buffo che si possa immaginare.
Sono fortune.

Muovermi per andare a trovarla, vestirmi, prendere la metropolitana verso Porta Nuova, con la musica alle orecchie, è una specie di rituale di preparazione a qualcosa di liberatorio.

Però so come sto, so come mi sento. So che sto rimuginando su alcune cose in profondità e che fatico ancora a fare entrare il giusto ossigeno nella mia testa: cercherò di non monopolizzare tutto lo spazio di conversazione.

Arrivo a destinazione. Scala mobile su piazza Carlo Felice. Daydreaming dei Radiohead alle orecchie. Davanti a me, si aprono poco a poco gli eleganti palazzi di Corso Vittorio, illuminati dai lampioni appena accesi e dal tardo pomeriggio invernale.
Il cielo ha un meraviglioso color indaco e poche nuvole.
L’aria è pulita. Mi sposta per un attimo i capelli con singolare e delicata armonia.
Una specie di carezza che sembra sussurrarmi: “Hey, andrà tutto bene”.

Rallento.

 

Dio, come amo questo posto…

Mi ricollego a quella “mia suprema idea di amore”. Per le cose, per me stessa.